Dopo quanto successo credo di averne la conferma: io ho un problema di gusti. Ora voi starete sicuramente dicendo che ve l’ho dimostrato ampiamente più e più volte nel corso del tempo. Per quanti ancora non lo sappiano, scrivo pubblicamente che a me Prometheus è piaciuto, cosa per cui vengo irrisa. La verità però che è Prometheus rientra ancora nell’alveo di quelle opere che hanno spaccato la critica: alcuni hanno detto che fa molto schifo, altri meno, altri ancora ne salvano qualcosa e alcuni estremisti dicono addirittura che è passabile. Tra parentesi, a parte il doppiaggio non fedele e alcune accelerate tremende di sceneggiatura, l’ho trovato bellissimo. Continua a leggere
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MasterChef seconda stagione: esempi di sociologia spiccia applicata
Oggi permettetemi di prendermi una pausa da film, fumetti, cartoni, videogiochi e tutto il resto per parlare della seconda stagione di MasterChef.
Tranquilli non voglio buttarmi sui reality show, ma sto guardando questo programma e mi sono venute delle stupide e superficiali riflessioni da fare. Non che io sia un sociologo o un antropologo, ma mi sembra che questo reality sia riuscito a racchiudere in sé tutti gli stereotipi umani che affollano il nostro paese.
Praticamente MasterChef è riuscito dove il Grande Fratello ha fallito.
Il Grande Fratello, in teoria, sarebbe dovuto essere una finestra sull’Italia e gli italiani. Avrebbe dovuto mostrare i vari tipi di persone che affollano il nostro paese e restituire uno specchio dell’Italia in cattività, senonché hanno cominciato a riempire la casa di tamarri ignoranti e semianalfabeti, il cui unico scopo è quello di diventare ricchi e famosi per non dover mai lavorare in vita loro… no, beh, forse non ha proprio fallito.
MasterChef, invece ha raccattato gente di varia estrazione sociale, cultura, provenienza, e li ha messi l’uno contro l’altro in un gioco al massacro per accaparrarsi 100 mila euro, scrivere un libro di ricette e realizzare il sogno della loro vita: diventare, manco a farlo apposta, uno chef.
L’HFR 3D de Lo Hobbit
Come promesso oggi continuo le mie impressioni su “Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato” andando a vedere la parte puramente tecnico-spettacolare del film.
In un film del genere è ovvio che gli effetti speciali sono una parte fondamentale per la buona riuscita della pellicola.
Le varie razze devono essere diverse tra loro come caratteristiche fisiche ed estetiche, oltre che come personalità. Non basta appiccare in faccia di qualcuno un naso finto, una barba posticcia e dire: “Questo è un Nano“, poi si prende un altro, gli si mettono 2 piedoni di gomma e dire: “Questo è uno Hobbit”.
Hobbit, Nani, Umani, Elfi, Orchi, Orchetti, Goblin, Troll etc… devono avere altezze diverse e corporature diverse, coesistere contemporaneamente sullo schermo interagendo tra di loro e lo spettatore deve accorgersene per immergersi nel racconto. Altrimenti “Lo Hobbit” potrebbe essere girato nel giardino di casa di chiunque con una videocamera qualsiasi.
Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato per un film molto atteso
Mi sono accorto che quando parlo di film divento molto noioso e rompicoglioni preciso e didascalico. Con “Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato” vorrei cambiare e parlarne in maniera un po’ diversa, un po’ più divertente. Anche perché di recensioni serie, fatte con le chiappe strette da sedicenti espertoni, ce ne sono a tonnellate sul web, visto che ormai è uscito da 4 giorni. Addirittura un sito ne ha pubblicate 4 in 2 giorni più vari approfondimenti, notizie, interviste a Peter Jackson, la rava e la fava, una più noiosa dell’altra.
Probabilmente mi dilungherò un po’ per parlare del film, anche perché è da sviscerare anche per quello che gli sta intorno. Non si può parlare de “Lo Hobbit” senza contestualizzarlo, sostanzialmente. Mi soffermerò poco sulla nuova tecnica dell’HFR 3D che poi ne parliamo domani.